Thinking while working

E’ vero che i lavori manuali aiutano la riflessione. Oggi mi sono dedicata ad aggiustare diverse cose. In primis l’i-Home che, poverino è partito male da quando è passato nelle mie mani. Dopo aver rischiato di “brasarlo” alla prima accensione (comprato in USA la sottoscritta, presa dall’entusiasmo, si era concentrata solo sull’adattore della presa e non del convertitore di elettricità:-///), ha ricevuto il colpo di grazia la mattina che ho inciampato nei cavi e l’ho trascinato giù dal mobile (altezza non drammatica ma evidentemente fatale). Più che averlo aggiustato, l’ho sistemato in modo tale che funzioni. La “riparazione” consiste in un sacchettino di plastica ripiegato infinite volte, piazzato dietro l’aggancio per l’iPod in modo che crei un ulteriore appoggio per il lettore mp3. Risultato: l’iPod adesso si sente:-)

Poi sono passata a lavori più creativi: collane. Ne ho riparate 3, districate “ennemila”, ho “rivisitato” un paio di orecchini e mi sono fatta una nuova collana.

Durante tutti questi lavori la riflessione emersa è stata: potessi aggiustarmi, sistemarmi, fare e disfare la mia testa e anche il mio cuore all’occorrenza come le collane!

Invece sono quasi sempre nelle condizioni dell’iHome: ci metto delle “patch” giusto per “funzionare” 😀

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RICOMINCIARE

All faiths welcome

All faiths welcome

Dopo mesi di silenzio ho pensato di ricominciare con una bella immagine.

 

Questa foto è stata scattata dalla sottoscritta (e lo si capisce subito) all’aeroporto di Gatwick a Londra lo scorso 2 ottobre. Mi capita spesso di pensare che Londra sia più avanti di tante altre città al mondo. Questa immagine ne è una prova: in pratica in questo aeroporto, neanche il principale della città, è stato creato un luogo, un posto, una stanza dove chiunque, di qualunque religione può entrare e “ristorarsi” l’anima pregando il proprio dio. Una multi-faith chapel. Ritengo che sia uno dei maggiori segni di civiltà e tolleranza che mi sia capitato di vedere in questi ultimi anni. E quel “All faiths welcome”, in un irrefrenabile impulso ottimista, è un bel segno di speranza.

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E LA FIERA NON C’E’ PIU’

Mi piace godermi Milano d’agosto: sembra quasi surreale. Cerco sempre di passare qualche giorno in città nel mese d’agosto perché è l’unico modo per constatare che, nonostante tutto, è una bella città (questo non significa che non me ne voglia andare J ). QQuesta sera, quindi, dopo cena ho preso la bici e mi sono avviata alla gelateria di Via Ravizza per un sano gelato. Ho fatto il solito ciclo-tragitto che mi porta a passare in una di quelle che, a mio avviso, è una delle piazze più belle di Milano: piazzale Giulio Cesare. E’ la piazza antistante antico ingresso principale della Fiera di Milano (ingresso Giulio Cesare, appunto). Questo piazzale è sempre stato poco transitabile (se non ricordo male passavano solo le vetture degli abitanti e i mezzi pubblici) e forse per questo si è conservato meglio di tanti altri. Al centro della piazza si trova la fontana delle Quattro Stagioni realizzata da Renzo Gerla nel 1927. Questa sera uscendo avevo deciso di fare finalmente una foto. Quindi sono arrivata al centro della piazza, mi sono posizionata di fronte la fontana e…click….foto.

piazzale giulio cesare ago 08

piazzale giulio cesare ago 08

Appena scattata mi rendo conto che manca qualcosa dalla solita immagine che avevo in mente: l’insegna verde al neon che recitava “Fiera di Milano”. La colpa di questa disattenzione è tutta mia: non ci passavo da tempo da queste parti e da altrettanto tempo non seguo con la dovuta attenzione le decisioni dell’amministrazione comunale sul futuro di questa “metropoli tentacolare”, schifata ormai dalla predominanza degli interessi di pochi a discapito della comunità. Quindi quando ho realizzato che tutta l’aera della vecchia fiera non c’è più, è stato un “colpo”: il neon verde (sicuramente disprezzabile ma accettabile in quel contesto e per una città metropolitana) è stato per me uno dei punti di riferimento per orientarmi in città (soprattutto quando abitavo fuori). Si sapeva che girando a destra rispetto alla scritta verde si circumnavigava la fiera passando da Viale Cassiodoro, mentre se si svoltava a sinistra si andava a quello che nel corso degli anni è diventato l’ingresso principale delle manifestazioni maggiori, cioè Amendola Fiera. Senza contare i km macinati tra quei padiglioni sia in veste di visitatrice che in veste di espositrice. Quindi mi sono immalinconita tremendamente. A questo punto mi piacerebbe tanto che l’area venisse lasciata così, magari piantumando un bel parco (magari quello distrutto in Gioia?). Ma invece ci sono già i progetti per la costruzione di Citylife.

Siccome sono una schiappa come fotografa, oltre alla mia foto, consiglio di visitare questo post di Milanophotogallery.com che è decisamente meglio.

Mentre chi volesse farsi un’idea su “come è e come sarà” ho trovato questo link a Panorama.it che rende meglio l’idea di tanti altri siti

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A Sicilian Trip

“It could be your California” è questo che mi ha sempre ripetuto Christine parlando della Sicilia. Christine è americana, abita e vive in Italia da oltre un ventennio, si è sposata con un italiano che ha lavorato per tantissimi anni a Gela e lei (come ahimè spesso capita) conosce alcune zone dell’Italia meglio di me. Adesso che finalmente sono stata in Sicilia (sebbene la visita si sia limitata alla zona che va da Agrigento a Selinunte + un giorno a Palermo. Lo so è una parte infinitesimale, non avrei neanche diritto di scriverne ma del resto è il mio blog e ci scrivo quello che voglio:-), ho capito cosa intende. E’ una terra dalle potenzialità infinite che noi stessi italiani non siamo in grado di cogliere e far emergere. Potrebbe essere un angolo di paradiso ma siamo spesso portati a raffigurarla come una terra infernale. Beh il caldo fa senz’altro pensare all’inferno e la terra brucia spesso, ma è veramente un mancato paradiso. A dir la verità la riserva di Torre Salsa e la spiaggia di Eraclea Minoa ti fanno pensare all’EdenJ

 

Quindi il viaggio ha visto Palermo quale aeroporto di arrivo e partenza e anche luogo di un giorno di visita in compagnia di un cicerone speciale, e San Leone, Agrigento, come località-base della vacanza. Da lì ci siamo poi spostati verso ovest: mèta massima raggiunta Selinunte e poi da lì ogni giorno si andava a visitare un posto nuovo “a scendere” verso San Leone: la Scala dei Turchi, Sciacca, Torre Salsa, Eraclea Minoa, Giallonardo. Di Agrigento purtroppo c’è stato modo di vedere solo la famosa Valle dei Templi e velocemente la via Atenea.

 

Sono partita con l’idea di girare tutta l’isola in una settimana ma una volta arrivata io non riesco a non passare almeno una lunga mezza giornata al mare. Quindi ho dovuto rivedere i pianiJ però sono comunque soddisfatta! E poi, vedendo meno di quanto pianificato hai sempre la scusa che ci devi tornare perché l’altra volta non hai visto quello o quell’altro… J

 

Parlando di questo viaggio non posso fare a meno di citare e sfacciatamente promuovere Villa Cetta, il B&B dove abbiamo alloggiato. E’ veramente a due_passi_due dal mare e da uno dei locali più “cool” della zona ma nello stesso tempo, essendo all’interno di una vietta, è tranquillissimo. Ogni camera ha praticamente una veranda davanti all’ingresso: la nostra è stata opportunamente utilizzata per fantastici aperitiviJ Il proprietario di Villa Cetta è Marco e…le sue due gattine che durante il nostro soggiorno si chiamavano Cetta e Lia ma so che adesso hanno cambiato nomi (Marco, alla fine si può sapere come le hai chiamate ste bestiole?). Per descrivere Marco mi affido al commento di una turista straniera (credo sia senz’altro una donna) che ha messo un commento di Villa Cetta su Trip Planner “Marco is charming, helpful and speaks passable English. He helped me figure out my Italian cell phone, gave us good advice on restaurants and directions, fixed a perfect breakfast.”

 

Altresì non posso fare a meno di menzionare Tony  che è stata una perfetta guida per un tour omnicomprensivo di Palermo (inclusa la visita al Palazzo dei Normanni), di Mondello e di Sferracavallo nonché un abile organizzatore di prenotazioni last minuteJ Ma del resto non ci si può aspettare di meno da chi gestisce il sito dedicato a Palermo Rosalio.it! Grazie ancora Tony!

 

Sono rimasta sorpresa dell’immagine distorta che avevo in testa di alcuni luoghi e ho trovato conferma della mia teoria che non bisogna credere a nessuno, bisogna vedere/sentire/toccare di persona; e questo vale da un film ad un viaggio. Quando ho deciso di concedermi questo viaggio ho trovato in edicola un numero di Traveller dedicato a Palermo, poiché era prevista una tappa anche in questa città, ho acquistato il numero [qui trova conferma la mia teoria in base alla quale spesso sono le cose che trovano te e non il contrario]. L’articolo dello speciale è a firma di Robero Alajmo, autore del libro “Palermo è una cipolla”, e ad un certo punto dice “Meglio uscire subito dall’ipocrisia. Quindi la prima sosta è a Capaci, dove svettano due obelischi che ricordano la strage del 23 maggio 1992. E’ il posto migliore per fare un patto: dovete sforzarvi di dimenticare tutto quello che avete sentito e letto su Palermo. E’ una storia raccontata male fin dal principio”. Ecco: questo patto si deve estendere a tutta la Sicilia, e le storie, purtroppo, continuano ad essere raccontate male.

 

 

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JOHN GAGE

Su Nòva di giovedì scorso (12 giugno 08) c’è un bell’articolo di Antonio Dini che parla di John Gage di Sun Microsystems e che, leggendolo, mi ha fatto tornare indietro di 10 anni. Per la definizione dell’attuale carica di John Gage mi affido alla didascalia della foto posta accanto all’articolo che fedelmente riporto “John Gage, 65 anni, si occupa dei rapporti tra Sun Microsystems e l’università, tra il mondo della ricerca e quello applicativo dell’industria”.

 

Io ho lavorato per 11 in Sun Microsystems e ho avuto modo di incontrare John Gage una volta a Venezia. Era il ponte dell’Immacolata (o della Madonna che dir si voglia J ) del 1998. John Gage era uno degli speaker invitati ad un evento organizzato dal comune di Venezia, se ben ricordo. Io seguivo l’intera partecipazione di Sun all’iniziativa, speaker compreso. Quindi mi sono recata a Venezia il giorno antecedente alla manifestazione per il briefing e la solita preparazione pre-evento. Lui è veramente un personaggio, un vero guru: quello che colpisce non è solo la competenza in materie tecnologiche, scientifiche, ma la sua competenza potrei dire su tutto. Sapeva cose di Venezia che secondo me nemmeno Cacciari sa e sogna. Infatti il tema della città, della sua struttura e interconnessione con l’uomo ricorre nell’articolo di Antonio Dini continuamente. John Gage ha una conoscenza delle città impressionante, soprattutto si ricorda tutto. Io devo scrivere una enciclopedia di post-it per ricordarmi solo di portare via la spazzatura. A lui invece bastava (e basta ancora mi sembra di dedurre) una “keyword” in un discorso per permettergli di fargli scattare un ricordo di un particolare della città in cui si trovava. E tu ti aspetti che certi aneddoti li sappia “uno del luogo”, non uno dei top executive di una multinazionale americana! Infatti nell’articolo di A. Dini c’è una citazione di Gage che spiega tutta la sua visione di memoria_vs_luoghi_vs_persone:

 

“[…]Perché la memoria dell’uomo ruota attorno allo spazio fisico, ai luoghi, che poi diventano storie nella nostra capacità di narrare quello che abbiamo vissuto e ricordiamo”.

 

Quello che John Gage senz’altro non sa (perché poi non ci siamo mai più visti/sentiti/incontrati) è che sono molto affezionata a quel viaggio che ho fatto a Venezia grazie a lui. In treno verso la città lagunare ho conosciuto Cinzia, che è diventata una delle mie più care amiche e che solo 4 settimane fa, a distanza ormai di 10 anni, è venuta in vacanza con me a New York. Cinzia è di Trieste e sono andata a trovarla diverse volte. Quindi indirettamente John Gage mi ha permesso di scoprire una città che altrimenti avrei visitato chissà quando. Sicuramente se John Gage fosse venuto una volta con me a Trieste mi avrebbe raccontato ogni singolo angolo della città meglio di qualsiasi guida locale, Cinzia inclusaJ

 

 

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SERATE “BARZELLETTA”

Quando vado a Londra per riunioni di lavoro, la prassi prevede di arrivare in città la sera prima in modo da essere “up & running” abbastanza presto il mattino successivo per iniziare l’incontro prima, finire prima e dare a tutti  la possibilità di rientrare con uno degli ultimi voli dalla capitale inglese. In passato, il precedente country manager dell’azienda per cui lavoro mi chiedeva cosa avessi fatto la sera “libera” a Londra ed io gli dicevo “Siamo andate a cena. Eravamo: io, la tedesca, la spagnola, la francese…” — di solito non finivo perché lui scoppiava a ridere e diceva “Ma cos’è? Cosa siete? Una barzelletta?”J

 

Ieri sera ho passato una magnifica serata “barzelletta” che mi ha lasciato di buonissimo umore. Dunque, siamo partiti che eravamo:

        due italiane

        un italiano

        due francesi

 

Poi, suo malgrado (simpaticamente parlando), si è aggiunto un inglese: praticamente quando sono arrivata nel giro di presentazioni io ho scambiato sto ragazzo per uno del gruppo di persone che stavo conoscendo. In realtà non c’entrava niente, ma poiché era solo e si trovava a Milano per lavoro da solo e a quel punto ci eravamo anche presentati, alla fine si è unito a noi.

 

Poi, nostro malgrado (sempre simpaticamente parlando), si sono aggiunti un altro italiano ed una russa. Lui, un tipo inclassificabile (in senso positivo): sicuramente figlio di una famiglia molto benestante (per sua stessa ammissione), in due minuti ci ha raccontato tutta la sua vita. Ha vissuto un anno a Londra, uno a Pechino, uno a Singapore…parlava alla velocità della luce. Lei alta di suo almeno 190 cm + altri 10/12 cm almeno di tacco…non finiva mai. Era, ahinoi, visibilmente ubriaca e poco stabile sulle sue gambe e mischiava continuamente inglese e russo mentre cercava di parlarci (oltre a vodka e redbull… :-oooo).

 

Abbiamo quindi parlato di tutto e di più raccontandoci aneddoti e perché l’inglese, i francesi e la russa (…) si trovavano a Milano, e perché l’italiano che accompagnava la russa era tornato a Milano (e perché non era mai stato a Parigi) e dove noi altri italiani stiamo per andare (in ferie): in scioltezza e in allegria, senza pretese, senza barriere.

 

Il tempo ci ha assistito: non era bello (non è mai bello in queste settimane!) ma almeno non pioveva. C’era una bella temperatura e quindi si stava fuori volentieri.

 

Sono rientrata un po’ a malincuore: ci sono quelle serate e quei momenti in cui vorresti che il tempo e la situazione si congelassero e durassero un sacco perché ti senti benissimo.

Prima di addormentarmi ho pensato che il mondo potrebbe essere così semplice e meraviglioso.

 

Quindi alla fine c’erano:

        due italiani

        due italiane

        due francesi

        un inglese

        e una russa….. J

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Il treno per il Darjeeling

Locandina filmIndecisa tra Gomorra e Sangue Pazzo, nella piovosa domenica di ieri, ho optato per l’outsider Il treno per il Darjeeling. Ed ho fatto bene perché il film merita e stra-mertita. Sorprende sin dall’inizio con un corto “da trasmettere prima del film” (Hotel Chevalier) e che consente di capire una serie di battute e riferimenti che si incontrano poi durante il film, facilmente classificabile anche come “road movie”. I tre protagonisti sono perfetti nei ruoli e si calano perfettamente nei panni di questi tre sgangherati fratelli Whitman divisi da sempre e che durante questo viaggio in India, che Owen Wilson cerca in tutti i modi di rendere “spirituale” (quasi come se andando in India per forza si debba fare un viaggio spirituale), si ritrovano e scoprono che possono fidarsi l’uno dell’altro e soprattutto possono “abbandonare” il passato che è stato probabilmente la causa della loro separazione. Il regista è Wes Anderson, i tre attori principali sono Owen Wilson (che recita senza bende sul viso in sole due scene), Adrien Brody, Jason Shwartzman (che è il protagonista del sopra citato corto Hotel Chevalier) e la storia è impreziosita da alcuni camei di Natalie Portman (nel corto e poi solo in una inquadratura nel film), Bill Murray e Anjelica Huston.

Degni di nota anche i dialoghi italiani che hanno seguito perfettamente le situazioni (come sempre sarebbe bello poterlo vedere in lingua originale per verificarne quanto sia stata accurata l’interpretazione). La battuta nel corto tra Natalie Portman e Jason Shwartzman rappresenta, a mio avviso, la sintesi estrema del mondo femminile e maschile:

“Se scopiamo stasera, domani mi sentirò una merda” – dice Natalie Portman

“Per me va bene” – risponde Jason Shwartzman/Jack Whitman J J J

 

Mi spiace deludere chi si aspettava un post sulla mia vacanza a New York ma raccontare New York in un post per chi ha uno scarso senso della sintesi come me è praticamente impossibile. Quindi non so se riuscirò mai a scrivere qualche cosa su questa città: posso dire senz’altro che almeno una volta nella vita si deve vedere. Per me, sulla carta, questa è stata la seconda volta a NY ma è come se fosse stata la prima perché il primo viaggio a NY risale all’ormai lontano 1987 ed è stata una visita di un giorno (di cui mi ricordo solo la visita alle Twin Towers – e per conservarmi quel ricordo intatto ho deciso di non andare a vedere Ground Zero). Intanto si possono vedere le foto che forse parlano di più di mille parole.

 

 

 

 

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Cinema, teatro & blog

blog\'s life….mii che post travagliato…l’avevo già scritto ma non so come non è stato pubblicato:-(

Lo rifaccio (ma senza link!).

Volevo parlare degli ultimi film visti (Non pensarci di Gianni Zanasi, Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, Riprendimi di Anna Negri, La Banda di Eran Kolirin) e di un simpatico spettacolo teatrale (Colazione al Fiorucci Store) ma mi sono imbattuta in una vignetta di Lucrezia di Silvia Zicche che mi ha divertito molto e che vale più di mille parole.  SIccome dall’immagine non si capisce molto, riporto le battute:

La prima: “Nessun visitatore, ieri, nel mio blog”

La seconda: “Non avevo mai pensato che i fatti miei potessero non interessare a nessuno”

:-))))

Buon week end!

 

P.S. Adesso faccio pubblica e se dopo mi ritrovo anche il vecchio post, mi incazzo!

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Mostri alle mostre

Domenica scorsa sono andata a vedere la mostra “Anni 70” allestita alla Triennale di Milano, in extremis perché era l’ultimo giorno. Non ho traccia di giudizi o critiche di questa esposizione da parte di esperti o presunti tali, ma poco mi importa perché ci sarei andata a prescindere. Per chi è nato esattamente nel 1970 quegli anni corrispondono a ricordi e sensazioni, ma non sono stati vissuti pienamente come chi, per esempio, in quel decennio ne aveva 20 o 30 di anni. Io c’ero ma ero così piccola e così “protetta” da una famiglia e da una società che parzialmente voleva staccarsi da quegli avvenimenti, che è come se non ci fossi stata. Tanti ricordi certo (le sigle delle trasmissioni televisive, delle prime pubblicità, le notizie dei TG, la ricostruzione meravigliosa e precisissima del bar etc) ma quasi mai precisi, limpidi, facilmente collocabili nella memoria. Quindi è stata una rivisitazione carica di nostalgia e anche un po’ di tristezza, ma senz’altro una meravigliosa esperienza. Unico difetto riscontrato: il percorso troppo confuso, non chiaramente indicato e che facilmente ti induceva a “perdere dei pezzi”.

 

Ma la cosa che più mi ha sconvolto domenica non è stata la mostra, ma i visitatori e il loro approccio alla stessa. Chissà dove pensavano di andare queste persone visto che il 90% sono entrate con il cellulare acceso. Nessuno che si sia posto il problema di spegnerlo o di metterlo in modalità “silenziosa” prima di iniziare il percorso. Essendo domenica mattina “ci può anche stare” visto che, tipicamente (a miei tempi, gli anni 70 appunto), chiamare, o meglio, disturbare la domenica mattina è cosa da fare con estrema parsimonia. Ma siccome siamo nel 2008 e in modalità “always on”, ho assistito ad una profusione di chiamate come se fosse un lunedì pomeriggio qualsiasi. Mi aspettavo poi che tutti i riceventi, allo squillo si fiondassero sul telefono per chiudere la chiamata e spegnerlo/azzittirlo definitivamente. Invece no, altra delusione. Tutti hanno risposto parlando nella più assoluta tranquillità degli affari propri spaziando dai compiti dei bambini, ai risultati di partite, gare, tornei sportivi di varia natura, fissando appuntamenti per pranzi, aperitivi, cene e, laddove possibile, ad alta voce e magari bighellonando avanti e indietro davanti ai pannelli delle “didascalie” delle sale mentre altre persone leggevano.

Ma l’apice della sorpresa l’ho raggiunto guardando gli altri visitatori della mostra davanti a questi “quadretti di vita quotidiana”: nessuno che manifestava apertamente un certo fastidio davanti a questi atteggiamenti. L’unica che si girava con scatto felino e speranzosa che l’occhiataccia per una volta nella vita potesse veramente incenerire il soggetto inquadrato, ero io. Per gli altri avventori era tutto normale, tutto regolare. Nessuno si è lamentato, nessuno ha chiesto “scusi può smettere di passare avanti e indietro davanti a questo pannello che lo sto leggendo?” tranne la sottoscritta che quasi è stata scambiata per una rompico… Tanto meno si sono fatti avanti in tal senso i “custodi” delle sale che hanno permesso che questo scempio accadesse tranquillamente. Ecco vorrei poter dire a tutta questa “bella gente” che nessuno li obbliga ad andare alle mostre (o in altri posti dove c’è altra gente che è lì per conoscere, apprendere, scoprire) a rompere i “cabasisi”, come direbbe Montalbano, con le loro telefonate e i loro fatti privati. Ci sono i centri commerciali, il trittico Ikea_Castorama_Carosello e altri non luoghi del genere dove si possono recare per perdere il loro prezioso tempo e magari sfoggiare anche l’ultimo modello di cellulare. Ammiro e apprezzo chi vuole allargare i propri orizzonti, ma temo che questi signori non rientrino nel gruppo. Quindi molto brutalmente vorrei consigliare loro di starsene a casa propria.  Belli gli anni 70 ma forse sono nata nel periodo sbagliato…oggi funziona così:-/

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“Money can’t buy life”

Sembra siano state queste le ultime parole di Bob Marley al figlio Ziggy nell’ospedale di Miami (mentre cercava di tornare a morire nella sua Jamaica senza riuscirci). No additional words needed.

Buona notte…

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